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PAOLO PORTOGHESI, (architetto, direttore della Biennale di Venezia e Professore di Storia dell'Architettura all'Università "La Sapienza" di Roma) scrive di Morosin nel '99:

Nonostante che una delle caratteristiche dell'Arte Italiana sia proprio quella della collaborazione delle Arti del Disegno e molti dei complessi monumentali che hanno reso celebre il nostro paese nel mondo, siano il risultato di una fruttuosa collaborazione tra architetti scultori e pittori, sono pochissimi nel nostro secolo gli esempi positivi di integrazione tra le arti e quasi tutti risalenti alla prima metà del Novecento.

È da accogliere quindi con particolare interesse la imminente inaugurazione a Castelfranco Veneto di una grande piazza in cui insieme a edifici di notevole interesse entrano in gioco delle grandi sculture che non si limitano ad arricchire e decorare l'ambiente ma lo caratterizzano con un ruolo di protagoniste.
Le sculture di cui parliamo tre giganteschi cavalli alti 5 metri circa che appaiono nello stesso tempo come tre portati aperti verso l'infinito - sono opera di Costantino Morosin, uno scultore veneto che da molti anni risiede a Cacata, un piccolo borgo medievale alle porte di Roma, salvato dalla distruzione stabilita per legge, dall'entusiasmo di un gruppo di intellettuali provenienti dalle più diverse regioni d'Italia e d'Europa.

L'Arte di Morosin si ispira a quel rapporto diretto tra l'uomo e la natura che appartenne a quei popoli che chiamiamo "primitivi" e che, a una più attenta valutazione, si sono rivelati capaci di insegnare all'uomo moderno, che ne ha perduto il segreto, come ritrovare un rapporto di alleanza con la natura.

Famoso per aver utilizzato nella scultura un materiale come il tufo vulcanico, una delle materie più umili del repertorio costruttivo italiano, Morosin si è ora cimentato con il travertino emulando le gesta di quei nostri antenati che nelle costruzioni megalitiche, in Puglia, come a Malta o a Stone Henge in Inghilterra, hanno utilizzato pietre del peso di decine di tonnellate che metterebbero in crisi anche le attuali tecnologie di sollevamento, se è vero che per trasportare l'obelisco di Axum, collocato a Roma, davanti al palazzo della F.A.O. sarà necessario spezzarlo in tre pezzi.

Morosin è riuscito comunque a far tagliare nella cava di Caucci a Bagni di Tivoli una serie di monoliti del peso di ventisei tonnellate battendo probabilmente molti primati antichi e recenti ed è riuscito - ciò che più conta - a utilizzarli in modo convincente, creando uno spazio che è insieme scultoreo ed architettonico.

Diversamente dai cavalli di De Chirico che si avvolgono dinamicamente nello spazio i cavalli di Morosin si radicano a terra e puntano sulla stabilità architettonica dell'immagine, evocano uno spazio fermo e solenne: lo spazio delle istituzioni, delle radici, della città, quindi, intesa come sfondo immobile della "calda vita" dell'uomo che si svolge al suo interno e trae da questa immobilità la spinta al divenire, alla continua metamorfosi.

I tre portali-cavalli di Morosin, simboleggiano passato presente e avvenire e potremmo interpretarli come invito rivolto all'uomo d'oggi perché rifletta su quanto ancora possiamo imparare dall'atteggiamento primordiale che interroga Fa natura senza la pretesa di dominarla, su come il presente nelle sue infinite possibilità di svolgimento implichi la capacità di influire sul futuro e quindi la necessità di un progetto.

I tre cavalli che chiedono di essere "attraversati" sono il simbolo di una "via" da percorrere; nella loro stabilità implicano il movimento, il flusso, invitano alla contemplazione ma nello stesso tempo sono una aperta provocazione contro l'immobilismo della nostra società imprigionata dallo scetticismo e dalla burocrazia.

PAOLO PORTOGHESI